lunedì 26 febbraio 2018

Siena, Ambrogio Lorenzetti e lo scorrere del tempo



Se c’è una città che per anni ho chiamato “casa”, è Siena. Pur non essendo stata battezzata in contrada, pur non essendo mai stata presa in considerazione dai senesi, pur non avendo mai aperto un conto corrente al Monte, né aver mai aspirato la c, a Siena mi sono sempre sentita a casa.
Ci sono tornata con il coniuge nel 2009. Ed è stato un colpo al cuore. Ci siamo ritornati lo scorso weekend, dopo 17 anni dalla mia laurea, ed è stata un’altra coltellata. Mi inerpico tra le viuzze della città, apparentemente immutata eppure diversa. Piccoli cambiamenti: gli store, come si dice ora, che accomunano un borgo medievale con le disordinate periferie di una qualsiasi metropoli (perché diamine avete permesso di aprire un Tiger in Pantaneto?), vecchie botteghe tirate a lucido, una miriade di parrucchieri, fascinose osterie sostituite da localini trendy in cui fermarsi per l’aperitivo.
Gli anni, la globalizzazione, il crollo del Monte: anche le certezze dei senesi hanno cominciato a vacillare. Cammino in silenzio tra i vicoli osservando i ventenni con zainetto e adidas; catturo stralci di frasi che vent’anni fa furono le mie.
Chiostro di S. Francesco

Ripenso alla mia Siena: la cupola della Chiesa di Santa Maria in Provenzano che si staglia nel cielo azzurro di febbraio, l’aria gelida e il fumo che esce dalla bocca, le numerose pause caffè fuori dalla biblioteca della cripta di San Francesco. La Politica, i grandi ideali, i viaggi sognati, il prossimo esame, quel film al Pendola a 2000 lire (roba da Medioevo). Una corsa in Fortezza per cancellare l’ansia dell’appello di economia politica (solo dieci giorni e io devo ancora finire il programma), le cene squattrinate alla Chiacchiera, pici e vino rosso per festeggiare la fine delle sessioni d’esame, anche quando da festeggiare c’era ben poco.
Vista dalla Fortezza Medicea
Ma non si vive di soli ricordi. Sono passati gli anni, è cambiata Siena e sono cambiata anch’io. 
Ci fermiamo a prendere un caffè dal Nannini (mai oltrepassato quella porta da studentessa universitaria); non c’è più il punto Einaudi (o, se c’è ancora, non riesco a trovarlo), ma entro in una bella libreria inaugurata da poco, Palomar, a due passi da Piazza del Campo. Mi entusiasmo davanti all’Allegoria della Redenzione di Ambrogio Lorenzetti, visito un museo di contrada (mai accaduto in 5 anni di vita universitaria) e mi faccio raccontare il Palio e la vita dei contradaioli come se fosse la prima volta che metto piede in città.
Chiudiamo la serata in un ristorante eccellente, ospiti delle Saba sisters, senesi d’adozione, con cui restiamo a chiacchiera a lungo (per dirla alla senese maniera) e ridiamo fino alle lacrime. Nuove amicizie intercettate attraverso i social (ulteriore segno dei tempi che cambiano), trasformatesi rapidamente da virtuali a reali. Altri volti, altre storie, piatti diversi ma la stessa allegria di vent’anni fa.
Prima di lasciare Siena, guardo Piazza del Campo in una notte senza stelle. Da togliere il fiato, come la prima volta che la vidi.   
 
Sarà possibile visitare la mostra di Ambrogio Lorenzetti a Santa Maria della Scala fino all’8 aprile 2018. Tutte le informazioni qui.
Per uno sguardo diverso su Siena (ma non solo) potete visitare My day worth, il blog di Amina.
Abbazia San Galgano
Dopo essermelo riproposta per anni, finalmente sono andata a visitare l’abbazia di San Galgano e la suggestiva Rotonda di MontesiepiEssere circondati dalle mura dell’abbazia con i fiocchi di neve che ti vorticano intorno è una sensazione intraducibile sulla carta.

Interno dell'Abbazia di San Galgano - Tutte le foto sono state scattate dal coniuge

mercoledì 21 febbraio 2018

Dracula, Bram Stoker



Cara Mina,
perdonami se ho l’ardire di scriverti, dandoti del tu, neanche fossimo state azzannate dallo stesso vampiro. Sai, ho seguito le tue vicissitudini fino a qualche sera fa e, date le circostanze, sento di potermi considerare tua amica. Non ho la presunzione di poter sostituire la splendida Lucy, così raffinata e gentile da ammaliare chiunque. Un cuore sincero e limpido, pace all’anima sua, ma in quanto ad autostima… Mina, tu che sei stata la sua più cara amica, tu che ti sei sorbita pagine e pagine di epistole lacrimevoli, avresti dovuto quanto meno smontare le sue teorie sulla “nobiltà d’animo degli uomini” (maddai!!) rispetto alla pochezza delle donne. Non trovi?
E poi, Mina, talvolta anche tu riesci a farmi perdere la pazienza! Ma dico, benedetta figliuola, hai trascorso mesi sbattendoti a destra e manca tra l’insegnamento, la stenografia, il diario, le lettere; ti sei mostrata energica nell’affrontare i postumi della malattia di Jonathan, sopravvissuto miracolosamente al fetido alito del conte Dracula, hai ricostruito con lucidità la follia degli eventi in cui siete incappati… e ancora pensi che “noi povere donne abbiamo tante lezioni da dover imparare”? E da chi? Dagli uomini?! Suvvia!
Scusami se continuo a infierire, ma non mi dirai che quel bamboccione di Lord Godalming è mai parso più sveglio di te?! Tolti i danari, il titolo altisonante e i numerosi possedimenti, resta solo la bontà d’animo. Di acume ne ho visto ben poco.
E il dott. Seward? Medico perspicace, attento indagatore della psiche umana, per carità!, eppure totalmente incapace di collegare la morte di Lucy con la presenza di Dracula; incapace di associare la trasformazione del suo folle paziente Renfield (talvolta meno matto di noi) alla curiosa presenza di lupi, pipistrelli e di quella nebbiolina persistente che avvolgeva il solo ospedale psichiatrico.
Insomma, Mina, guardati indietro: hai dato prova di grande coraggio; hai analizzato gli eventi con occhio critico ma con mente aperta al soprannaturale. Con il tuo comportamento hai smontato l’equazione intelligenza = maschio. Eppure, ancora non sei pienamente convinta delle tue capacità.
Cara Mina, sei tu la perfetta allieva del dottor Van Helsing, l’unica in grado di interpretare i movimenti delle sue sopracciglia, di star dietro alle sue giuste intuizioni. Almeno tu, Mina, che hai avuto l’audacia di ostacolare la moltiplicazione dei Non Morti, che hai continuato a scrivere il tuo diario nel mezzo del niente, incurante del gelo e del buio dei Carpazi, abbi il coraggio di credere nelle capacità delle donne e di combattere i vecchi pregiudizi ottocenteschi.
Apertura mentale Mina! Esattamente ciò che professa il dottor Van Helsing per buone 300 pagine del romanzo. Ora che avete polverizzato il conte Dracula, non smettere di lottare per sgretolare i vecchi preconcetti nei confronti delle donne.
Tua affezionatissima B.
P.S. Comunque, per prudenza, suggerirei di continuare ad aggiungere uno spicchio d’aglio a ogni pasto (mai avuto grande fiducia nei signori vestiti di nero, con gli occhi troppo rossi e i denti troppo bianchi).

Transilvania, Castello di Bran - foto pubblicata su viaggiculturalieuropa.it 

Bram Stoker, Dracula, letto nella traduzione dall'inglese di Luigi Lunari; Feltrinelli, 2011.


lunedì 5 febbraio 2018

Leggenda privata, Michele Mari

Non so se Leggenda privata sia stata la via migliore da cui partire alla scoperta di Michele Mari.
“Ipocrita poi di necessità, professionista dell’eufemismo e delle maniera, ma sempre tentato dalla lustra ipogea; sicché non è chi nol vegga, l’Accademia della Cantina gode […]”
Michele Mari è uno che scrive così. Non usa il banale termine “dimezzato” bensì dimidiato, nonché altre espressioni come sitibondo, indarno, ambagi piranesiane, zaratustrici apoftegmi. Abituata ad una lingua sobria, contemporanea, talvolta sin troppo giornalistica, il primo impatto non può che essere scioccante. Ma che dice? Ma come parla? Ma cosa significa? Perché questo inutile sfoggio di finta cultura? Poi, però, entro nel meccanismo, inizio a capire il gioco e, pur non sapendo dire se mi piaccia o meno, non riesco ad interrompere la lettura.
Quando chiudo il libro e apro la posta elettronica, leggo con fastidio la mail sgrammaticata del cliente che utilizza le solite formule polverose. Non a caso, questa qui si chiama burocrazia.
Forse ha ragione Mari quando afferma che la letteratura deve avere una sua personalità e che ci sono cose che possono essere belle solo se arcaiche e sublimi. O forse esagera, ma lo dice con una tal convinzione da persuadermi.
Superato lo spauracchio linguistico, posso concentrarmi sulla storia. Altra impresa complicata.
Dovrebbe essere la sua autobiografia, scritta su intimazione della famigerata Accademia dei Ciechi, ma a pagina 7 brancolo già nel buio.
Mari inscena una situazione in cui i mostri veri della sua infanzia (il padre, il nonno, le cinghiate…) si scontrano con i demoni della letteratura. Poe contro Enzo Mari che, per carità!, non si osi chiamarlo con un affettuoso “babbo”, altrimenti risponderà con uno sprezzante “fanciullo”.
Tipo brusco Enzo Mari, re del design, padre anaffettivo, autoritario, ingombrante, sempre sull’orlo di sfuriate pazzesche. Non va meglio con la madre, Gabriela, con una sola L, poiché i nonni si erano augurati un bel maschio, da battezzare Gabriele. Tale fu la delusione da limitarsi a mutare solo la vocale finale (mia madre crebbe sapendo di essere nata sbagliata); poco importa, con il passare del tempo, tutti l’avrebbero chiamata Iela.
Prima d’esser madre, Iela fu agile gazzella da roccia, inerpicata sulle vette con Bonatti e Buzzati. Magra come un’acciuga ma “con una manina d’oro”, ad indicare la precisione e il talento innato per il disegno. Donna asciutta che rifiutava ogni frivolezza, sia nel vestire che nella cosmesi, come se ogni flagrante femminilità fosse un tradimento della propria intelligenza e del proprio talento.
In sintesi, un'infelicità costante, come documentano le foto che accompagnano la narrazione: una raccolta di volti perennemente imbronciati.

Con un’infanzia simile, non stupisce che Mari abbia trovato rifugio nella letteratura, né che si sia inventato uno stile che, piaccia o meno, lo contraddistingue dagli altri autori contemporanei.
Ma è poi un rifugio quello fornito dalla letteratura?
Fuggire dai piccoli orrori della vita, fuggire dalla famiglia, per essere ghermiti dai demoni non è un grande affare: o meglio lo è sotto l’aspetto estetico-romanzesco, ma per il resto, credetemi, cinghia per cinghia… urlo per urlo…